MAESTRA LAURA

MAESTRA LAURA

venerdì 1 luglio 2011

Avere in classe un bambino che genera disturbo!


Chi non ha mai avuto nel corso della propria esperienza di docente un bambino/a che genera disturbo.
Io ho conosciuto, in una quarta classe, G.. Un bambino che ogni occasione era buona per ribellarsi, per accusare e per isolarsi. Da subito toccai con mano la sua solitudine, il suo tenersi lontano e nello stesso tempo sentirsi tenuto lontano dal gruppo classe. Lo conobbi che era serio, cupo. Disegnava , disegnava, disegnava.
Mi accorsi ben presto che qualunque cosa succedeva… cadeva un bicchiere, si trovava una carta in terra, la colpa era, a gran coro, di G.
G. aveva atteggiamenti sempre di sfida, spesso aveva esplosioni di rabbia inveendo contro me o contro i compagni con parolacce e uno sguardo da far incenerire. Se non riusciva in qualcosa, o non venivano confermate le sue tesi o non gli si permetteva di fare in quel momento quello che aveva deciso, giù con le invettive, gettava anche per l’aria oggetti , un giorno anche il banco e la sedia e stette seduto per terra!!! Tetro, rabbuiato…. si metteva a disegnare, disegnare cartoni animati. Fumetti!!!! Se gli sorridevo, o gli rivolgevo parole gentili, mi guardava con titubanza. Un giorno, gli doleva un’anca, chiamai la madre perché lo venisse a prendere. Quando, preparato lo zaino, si diresse alla porta, io gli passai le mani tra i capelli e gli dissi :” Vedrai che il dolore passerà con un po’ di coccole di mamma!” e sorrisi“ . Con gli occhi bassi e un po’ burbero, soggiunse: “ A me non piacciono le maestre buone!!!” e andò via.
Ecco fu così che conobbi G.
Dragon Ball fu per me una fortuna. Mio figlio, adulto, seguiva le puntate ed io con lui. Mi ero appassionata a vedere quel cartone animato. C’era il buono, il cattivo e il fantastico. Io ho sempre amato il fantastico e la fantascienza!
G. disegnava Dragon Ball e i suoi personaggi in modo meraviglioso e io gli dissi che lo vedevo e lo vedeva anche mio figlio, all’epoca 29enne. Emersero dagli occhi di G. incredulità e stupore.Incominciò così la nostra amicizia. G. incominciò a poco a poco a fidarsi di me.
Mi commossi un giorno quando regalandomi un suo disegno mi ritrovai anche io un personaggio fumetto!
Pian piano, nell’arco dei due anni, io imparai a prestare sempre più attenzione a quanto emergeva nelle sue proteste “gridate”, però, sempre meno, e lui ad ascoltare le mie argomentazioniquando gli chiedevo comportamenti “più idonei”, di aderire a regole condivise da tutti.
Quando veniva assalito dai suoi scatti di collera, mi fermavo ad ascoltare oltre il gesto, i suoi perché, mi fermavo a chiedere io, a me stessa, come mai, perché, a ricostruire a casa la situazione. Sempre più mi accorgevo che se mi mettevo dal suo piano prospettico, aveva sempre il suo 50% di ragione. Era il “modo” che era errato, ma non sempre l’ argomentazione …Lui mostrava poca flessibilità di giudizio, si irrigidiva su il nero e il bianco senza riuscire a vedere le tante sfumature di colori.
Sempre più modificò i suoi comportamenti da quando una volta, presa anche io dalla collera in seguito ad una ennesima sfida da parte sua, gli dissi, fissandolo negli occhi: “ Ricordati G. , non sei tu sbagliato! Tu sei un bambino meraviglioso, ma sono, troppo spesso, i tuoi comportamenti ad essere non idonei, e quelli possono essere cambiati se solo tu lo vuoi!!!!. Sei tu a decidere cosa fare o non fare, sei tu e solo tu a sapere perchè scegli questo o quel comportamento!!!”. Lui mi fissò e capii che aveva compreso, dovevo dargli solo il tempo di scoprire che splendida persona fosse!!
( G. non ha il pastello rosso per disegnare un istogramma. Prende con prepotenza quello di K.. Intervengo dicendo di utilizzare il suo rosso-marrone. Si oppone, replicando che glielo “devono” dare. Sottolineo la regola che calza in quel momento: “Ognuno utilizza i propri strumenti adeguandoli al proprio lavoro” “ se si vuole in prestito qualcosa si chiede con gentilezza, si aspetta pazientemente che il compagno abbia finito e sia disponibile a prestare!! E non è detto che necessariamente mi si deve prestare ciò che voglio, non posso pretendere!!”.
Mentre io parlo, sfidandomi fissandomi, traffica, con la mano, sotto il banco di K.. “ Sottolineo che se lui si sta ritenendo libero di non rispettare la sua amica e le cose della sua amica, io posso ritenermi libera di non rispettare le sue! Lui mi guarda perplesso… Faccio allora riferimento come esempio alle sue figurine, alle quali ci tiene molto! Dolcemente e con grande onestà, poi, gli dico che si può ritenere libero di eseguire gli istogrammi o non farli, ma che non transigo sul suo non rispettare le regole, e gli ricordo che sta a lui scegliere il comportamento idoneo o non idoneo, il sì o il no!!” I comportamenti”, aggiungo, “ si possono modificare!!!!” . Mi allontano per affiancare un’altra alunna che ha bisogno di aiuto. Dopo poco G. mi chiama e mi chiede se ha eseguito bene. Ha usato il suo rosso-marrone. Lo lodo per l’esattezza della consegna!!
Ecco penso proprio che G. potrebbe essere un bambino con disturbo “oppositivo-provocatorio”. Ho ricercato materiale e ho letto articoli in proposito, che talvolta hanno confermato l’idoneità di miei comportamenti e di strategie da me scelte; altre volte mi hanno fornito spunti di riflessione e input da mettere in atto in classe con G. e con l’intero gruppo classe. Da un libro scaricato da Internet ho trovato conferma a quanto io penso circa i bambini che assumono atteggiamenti di sfida, di provocazione e troppo spesso di rinuncia a interagire con gli altri.

« Il soggetto affetto dal DOP non vive una vita felice e serena, non è contento del suo modo di essere e si duole per le opinioni che le altre persone hanno di lui. L’immagine che ha di sé è molto svalutante, si considera un incapace, indegno dell’amore altrui e crede che nessuno mai gli potrà essere amico. Si sente rifiutato, ma sa di essere lui stesso la causa del suo isolamento e così sviluppa livelli molto bassi d’autostima e spesso anche dei Disturbi dell’Umore……..
…..Come sostiene Patterson, spesso, questa bassa considerazione che il bambino oppositivo provocatorio ha di se stesso, nasce proprio nell’ambiente domestico.
Il rapporto che questi soggetti hanno con i loro parenti è molto complesso, si
tratta di una sorta di coercizione reciproca che, alla lunga, tende a sgretolare
l’unità familiare.
Sono gli stessi genitori, ad attribuire ai loro figli delle etichette, a definirli “insopportabili”, “aggressivi”, “terribili”. Queste espressioni che possono essere dettate da un momento di collera, se ripetute più e più volte, vengono
interiorizzate dal bambino, diventando delle auto-asserzioni negative che egli
ripeterà a sé stesso ogni qual volta si sentirà abbandonato da qualcuno.
Dei rafforzamenti a comportamenti errati avvengono anche ad opera di insegnanti. Anche essi etichettano, colpevolizzano e ciò fa comodo per coprire le proprie incapacità, le proprie frustrazioni di non essere capaci di istaurare contatti con alunni difficili. E’ più facile condannare, emarginare, colpevolizzare etichettare piuttosto che documentarsi chiedere consiglio, sperimentare strategie, mettersi in discussione per affrontare situazioni problematiche. Io parto sempre dal presupposto che non esiste bambino che non voglia essere considerato positivamente e se mette in atto comportamenti non idonei vuole comunicare spesso inconsapevolmente qualcosa!
«Nicole Fabre ci spiega che il bambino difficile soffre molto a causa del suo
isolamento ma, in un certo senso lo giustifica. Convinto di non meritare affetto, arriva a considerare normale l’atteggiamento di chi vuole allontanarsi da lui.
Se qualcuno gli si avvicina per instaurare un rapporto, anziché esserne felice, si mostra diffidente e reagisce con il suo repertorio di comportamenti ostili, come a voler mettere alla prova le intenzioni del suo interlocutore. È come se gli chiedesse “Mi vuoi bene anche se ti dimostro che non valgo niente, anche se ti faccio vedere che mi sono preso gioco di te? Mi vuoi bene anche se io stesso sono sicuro di essere un buono a nulla, e sono certo che nessuno mi potrà mai amare?”». Ecco in G. avevo visto questo.
«Un bambino che adotta comportamenti asociali è convinto che anche chi cerca di avvicinarsi a lui in veste d’amico, chi dice di volergli bene e di volerlo aiutare, alla fine, imparando a conoscerlo cambierà idea e lo lascerà nuovamente solo, quindi è bene mettere subito alla prova queste persone, verificare il loro grado di sopportabilità, perché tanto anche loro impareranno ad odiarlo ed è meglio che questo accada prima che egli si illuda di poter ancora ricevere affetto.»

lunedì 27 giugno 2011

..banchi di legno nero....

DALLE MIE PARTI, NON SO DA VOI…..
Dalle mie parti, in molte aule, i banchi sono prevalentemente schierati come quando io andavo a scuola Elementare, nel lontano 1961, anzi pensandoci bene, secondo il mio giudizio, peggio !!!!!
La mia aula di allora era fornita di banchi di legno neri. Sediolino e scrivania facevano corpo unico. Erano a due posti.
Ricordo che sul piano scrivania, per ognuno dei due occupanti, c’era una scanalatura per deporre la penna a fianco della quale, c’era un foro, servito alle generazioni prima della mia, per mettere il “calamaio”, una boccetta con l’inchiostro dove intingere il “pennino”. La mia generazione però usava già la BIC e allora in quel foro, per rendere meno austero l’ambiente grigio dell’aula, la mia maestra, Ester Albanese, faceva mettere una piantina con un fiorellino di plastica, portata da noi.
Io ho sempre occupato la prima fila e per i cinque anni ho vissuto le mie quattro ore di scuola sempre nella stessa aula e allo stesso banco con la stessa compagna. Per anni non ho visto il viso, le espressioni, le posture delle mie compagne sedute dietro me, per non parlare di quelle degli ultimi banchi mentre studiavamo in classe. Loro, poi vedevano, per gran parte delle quattro ore di scuola, le mie spalle.
Ebbene, dalle mie parti e non so da voi, oggi nel 2010, in alcune aule, durante gran parte dell’anno, durante le lezioni di colleghe/i, la posizione dei banchi è rimasta uguale, con l’aggravante, però, che i banchi sono singoli, di formica verde, senza scanalature senza buco per piantine di plastica. Non solo sono banchi singoli, sono anche, ben staccati tra loro per evitare relazioni che possono disturbare la lezione e ancora di più che si copi durante esercitazioni ed attività.
In una quarta, che mi fu affidata, chiesi ai bambini da quando occupassero quei posti, mi risposero: «Da sempre!». E la dimostrazione la ebbi quando chiesi loro di disporsi in cerchio per confrontarci e loro ebbero una difficoltà infinita a sistemare i banchi.
Durante i primi giorni in compresenza con l’insegnati che dalla prima aveva portato avanti la classe, …”la dominante” (scherzo, si fa per dire!!!), quella che, però, prediligeva quella organizzazione, ebbi modo di osservare molto i bambini e mi colpì il silenzio e l’assentire ritmato, con la testa, di alcuni di loro, quando lo sguardo dell’insegnate incrociava i loro occhi mentre parlava. Il silenzio esisteva anche quando i bambini erano impegnati in un compito. Nonostante i banchetti fossero tra loro distanziati mettevano il portapenne a mo di paravento. Mi colpì la reazione della collega dopo una lettura. Chiese, rivolta ai bambini, se avessero compreso tutti i vocaboli. Uno di loro, al primo banco, alzata la mano coraggiosamente, chiese il significato di “ricamo” e la collega un po’ irritata, rispose….«Non è possibile che non lo sai , tua madre lo fa sempre, mi rifiuto di credere che tu non sappia il significato! Posso capire chi parla il dialetto come V. e M. !”….”Lo fa per provocare!!!!!” rivolta a me. Così, conobbi G. un meraviglioso bambino con cui ho avuto modo di costruire una relazione positiva nei due anni che sono stata in quella classe! .
P. una bambina del primo banco sulla destra, durante una breve uscita della collega, un giorno, bisticcia con la compagna M. seduta dietro di sé. L’accusava di avvicinarsi troppo alla sua sedia con il banco….esplose in una crisi e con urla e sangue agli occhi, accusava di sentire la compagna M. sulle spalle: “ Da tre anni mi stai addosso sulle spalle!!!!….Sono stanca di averla sempre addosso!!!!” Questa cosa mi turbò enormemente!!!
«DIVIDE ET IMPERA!»
Certo la solidarietà, la cooperazione, le interazioni tra studenti e studenti e docenti, in una organizzazione così strutturata, come io troppo spesso vedo, non solo non vengono facilitate , ma non sono prese in considerazione.
Se però nelle scuole primarie la divisione, per alcuni docenti, è comoda perché permette più facilmente di tenere il controllo e la supremazia della situazione. Fa sentire qualche insegnante più al sicuro, in quanto agisce con autorità sui i singoli ed essendo i singoli, piccoli e vulnerabili lo temono; però, come diventano più grandi , nella seconda e terza secondaria di primo grado in poi, si formano le faide e talvolta i “branchi”. I ragazzi avvertono che uniti sono più forti, ma non avendo sperimentato quanto paga la solidarietà, la cooperazione, l’interazione al positivo, che il lavoro di gruppo è crescita reciproca, per alcuni dei nostri ragazzi, cresciuti nell’ottica della competitività, si innescano comportamenti non idonei, fino, per alcuni, ad arrivare ad azioni rischiose per se stessi o per gli altri!!!

ESSERE CORAGGIOSI


Essere coraggiosi non vuol dire non avere paure, ma essere consapevoli di averne ed affrontarle!!!

Il gioco dei sentimenti,Nascondino.

sabato 25 giugno 2011

BASTA CON LA SCUOLA DEL DIMOSTRARE QUELLO CHE GLI ADULTI VOGLIONO!!



Prove d’ingresso, verifiche intermedie, verifiche finali, prove invalsi, prove ocsa, pisa….ecc…ecc…
Dalle mie parti, tranne per pochissimi docenti, vuol dire che i bambini devono dimostrare di essere come noi vogliamo, attraverso esse i bambini devono dimostrare che ci seguono, che sanno ciò che noi vogliamo che sappiano!
Devono dimostrare costantemente :
di aver capito, di non fare errore, di essere stati attenti alle spiegazioni, di aver ascoltato gli insegnanti, di non essere stati distratti, di non essere bambini pigri, di corrispondere alle aspettative dei maestri, dei genitori e….. chi più ne ha, più ne metta!!!!!
Basta con una scuola nella quale i bambini sono convinti che debbano «dimostrare di essere»,« più che essere»!!!
Circa due anni fa, avendo una quinta classe e credendo che, per continuità, l’anno seguente avrei incominciato con la prima classe, pensai bene di conoscere e farmi conoscere dai bambini in uscita dalla scuola dell’Infanzia e probabili miei alunni della futura prima.
Dedicai circa un’ora la settimana, da Aprile a Maggio, ad un “volontario” progetto continuità.
Trascorrevo questa ora piacevolmente con i bambini di cinque anni, proponendo attività ludiche che favorissero la mia osservazione in rapporto al relazionale, all’emotivo e cognitivo sviluppato, e che permettessero loro di entrare in sintonia con una maestra della Primaria.
Questa esperienza fu utilissima ancor più per me, che per loro, permise, infatti, di riappropriarmi dei tempi, dei ritmi, dei linguaggi verbali e non, di piccoli di quella fascia di età evolutiva con peculiarità diverse dai ragazzini di quinta primaria.
Bene, tra le altre attività, seduti in cerchio avviai due chiacchiere.
Mi incuriosiva cosa pensassero della Scuola Primaria. Dovetti stimolare e scherzare un po’ prima di avere risposte meno scontate. Emersero timori e ansie. I bambini entravano nella scuola primaria convinti di dover dimostrare di sapere. Avrebbero dovuto dimostrare alle insegnanti e ai genitori di saper leggere e scrivere e questo li spaventava, temevano di non essere all’altezza delle aspettative degli adulti!
In una terza, poi, :« Perché dovete leggere e scrivere?»……«Per andare bene a scuola!»; «Per avere bei voti ed essere promossi»
«Cosa serve scrivere?»…«Per imparare tante cose»; «Perché dovete imparare a scrivere correttamente in italiano?»............«Per prendere buoni voti ed essere promossi!» ; «Così la maestra non si arrabbia»………«Mamma è contenta!»....«Per capire tante cose ed impararle!»
Ecco, I bambini entrano nella scuola per dimostrare e compiacere noi adulti e noi insegnanti rafforziamo, con il nostro modo di accoglierli e di insegnare, che questo «devono» a noi adulti:”dimostrare quello che noi vogliamo che essi siano”.
Dalle mie parti gli insegnati lavorano ancora nel modo che è più congeniale a se stessi e non a ciò che dovrebbero stimolare negli allievi: analisi, creatività e pratica.
Il bambino dovrebbe essere messo nelle condizioni di scoprire le proprie potenzialità e peculiarità., punti di forza e punti di debolezza ed imparare a compensare questi ultimi senza temerli, vergognarsene, nasconderli!
Dalle mie parti l’errore è ancora rosso come la vergogna!
Il bambino dovrebbe essere guidato a conoscersi, a scoprire attitudini, a sperimentare e sperimentarsi concedendosi di sbagliare per scoprire l’errore, penetrarlo, conoscerlo, analizzarlo, circoscriverlo per divenire via via sempre più consapevole che lo stesso errore è poco probabile che lo si ripeterà, ma che non per questo ci si aspetta da lui l’infallibilità, che non ne farà di altri di altro genere!.
Bisognerebbe insegnare che gli errori se ne fanno e non si è “sbagliati” se se ne fanno, ma possono essere corretti se si vuole.!
Dalle mie parti, salvo piccolissime eccezioni,esiste ancora la scuola della frontalità. Schierati, o in cerchio, in gruppi di quattro, in coppia, ricevono, non sperimentano. Quando fanno, è per dover dimostrare di aver capito e se sbagliano è perché hanno seguito poco e male, si sono distratti, pensavano ad altro……
Dalle mie parti per essere valutato positivamente un bambino deve dimostrare di:
essere ubbidiente; essere buono e tranquillo; di non parlare il dialetto neanche a casa e quindi di parlare scorrevolmente l’italiano e perciò di conoscere il significato dei vocaboli più utilizzati e tutti i contrari e se ciò non fosse è perché non ci mette sufficientemente attenzione; sapere le tabelline a memoria; non fare errori ortografici ne’ grammaticali; leggere velocemente.
Dalle mie parti, salvo per pochissimi insegnanti, si riempiono ancora le testoline come sacchetti di patate. I bambini dimostrano a breve di sapere, ma a quale prezzo in rapporto alla serenità individuale?
L’insofferenza nel banco, la distrazione, errori di scrittura, difficoltà di calcolo,....... sono modi che il bambino usa per dimostrare altro di ciò che a noi insegnati fa comodo che sia. Non si leggono i segnali, non si ascoltano le richieste, ma direttamente o indirettamente, dalle parti mie parti, gli si dice ciò che ci si aspetta che lui/lei debba dimostrare! Quello che si vuole che lui/lei sia!
Se i bambini dimostrano bisogni non OMOLOGATI, vengono valutati come SBAGLIATI!